Le cicatrici delle miniere: come la scienza ripara i danni ambientali

Ucraina, Regione di Zhytomyr. I giacimenti per l’estrazione di ilmenite di Krasnorichenskyj attivi dal 2012 hanno causato degrado della qualità dell’acqua e deforestazione. Senza bonifiche adeguate si rischia anche la desertificazione.

Bosnia ed Erzegovina, Lopare (Majevica). Arcore AG pianifica l’estrazione di litio e boro con riserve stimate a 10 miliardi di dollari, e le sue perforazioni esplorative dal 2018 stanno danneggiando acqua e suolo fertile. La comunità locale ha raccolto oltre seimila firme per bloccarle e attende risposta. 

Ancora Bosnia ed Erzegovina, ma Vareš e nuova miniera, quella di Adriatic Metals. Aperta nel 2024, estrae piombo, zinco e barite, ma ha già causato contaminazione da cadmio nell’acqua potabile e distrutto illegalmente tremila metri quadrati di foresta. 

Questi sono solo tre esempi, ma di ex miniere e future ex miniere in Europa si è perso il conto, si parla di migliaia di siti ma non esiste ancora un database completo e unificato. Con la fame di materie prime rare o critiche che c’è, sarà sempre più difficile tenere il conto ma sempre più urgente imparare a farci i conti, gestendo anche il loro impatto ambientale. I loro impatti ambientali, anzi, perché, a seconda del tipo di miniera, ci si può trovare a gestire il rilascio a lungo termine di effluenti di drenaggio acido contaminato, o l’inquinamento dovuto a metalli pesanti, o delle elevate concentrazioni di sale o molto altro.

Pur avendo dal 2020 il database MOSAICO con tutti i dati nazionali su siti contaminati e bonifiche, anche in Italia non possiamo non porci il problema. E, oltre che una questione ambientale, è anche una questione economica: secondo le stime di ISPRA, il costo delle bonifiche necessarie si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro ma, nonostante questa urgenza, il mercato delle bonifiche varrebbe attualmente solo 3 miliardi di euro all’anno. In questo divario significativo tra fondi effettivamente disponibili e fondi necessari c’è domanda, e c’è chi prova a rispondere e vuole farlo in modo virtuoso. Non è nata ieri, non è nata in Borsa ma come spin off dell’Università Milano Bicocca, l’ha fondata e la guida la biotecnologa Tatiana Stella (al centro nella foto insieme al team) e si chiama M3R.

Nei suoi quasi sei anni di attività questa azienda è cresciuta in modo organico, grazie all’autofinanziamento e al reinvestimento dei ricavi generati dalle attività progettuali. Ha gestito oltre 120 progetti di caratterizzazione di siti contaminati, applicazione di interventi di biorisanamento e relativo monitoraggio passando da 5mila euro a 500mila euro di fatturato. Senza alcuno strumento di finanziamento esterno come equity crowdfunding, fondi di venture capital o business angel, M3R oggi continua sulla propria strada, guardando con interesse il panorama minerario europeo. In particolare proprio i contesti ricchi di brownfield come Ucraina e Bosnia. “In queste aree la riqualificazione ambientale sarà sempre più centrale e, oltre a condividere le nostre tecnologie, desidererei trasmettere il nostro approccio metodologico” spiega. Stella si riferisce al modello di business e di intervento che ha scelto fin dall’inizio, basandosi sull’integrazione tra innovazione scientifica e sostenibilità e dando sempre priorità agli aspetti microbiologici dei processi di biorisanamento lungo l’intero iter di bonifica, dalla caratterizzazione dei siti contaminati, alla definizione di strategie sito-specifiche, fino al monitoraggio dei processi di biorisanamento. “Non c’è una tecnica di bonifica adatta per tutte le tipologie di contaminazione: è necessario definire ogni volta quella migliore per ogni specifico sito” spiega. Ex miniere comprese. 

Per ora, M3R ha iniziato a prendersene cura collaborando ad un progetto per la bonifica di acque sotterranee contaminate da metalli bivalenti in Cile, ma ha tutto ciò che serve per intervenire ovunque ci siano contaminazioni dovute a composti inorganici (metalli), rimuovendoli biologicamente attraverso tecnologie scelte in base alle caratteristiche chimiche- fisiche dei metalli (es. mobilità) e alla tipologia di matrice ambientale da trattare (terreni e acque). Per la bonifica delle acque si possono applicare tecniche di biolisciviazione che sfruttano i batteri solfato-riduttori per produrre solfuri che a loro volta legano i metalli, limitando la loro mobilità in falda attraverso la formazione di specie chimiche stabili e meno tossiche che tendono a precipitare. Per la bonifica dei terreni, se la contaminazione non è estremamente profonda, si possono invece usare tecnologie di fitorisanamento come la fitostabilizzazione, che sfrutta la capacità di alcune piante di trattenere a livello radicale gli inquinanti, riducendone la mobilità e la dispersione in falda. Oppure c’è la fitoestrazione, che sfrutta piante iperaccumulatrici che assorbono i metalli pesanti nel loro tessuto, facilitandone la rimozione con la raccolta della biomassa. 

Sembra di sfogliare il menu delle bonifiche ascoltando tutte le tecnologie di biorisanamento che Stella e il suo team hanno sviluppato negli anni. Pur credendo non hanno mai smesso basarsi sull’uso di batteri, funghi e/o piante per rispettare i principi di sostenibilità ambientale, economica e sociale oggi fondamentali ovunque, a maggior ragione negli interventi di ripristino e riqualificazione di siti contaminati. Per dimostrare che quello di M3R non è uno slogan, Stella si sofferma su ogni declinazione di sostenibilità menzionata, fornendo dettagli su come la raggiunge. Quella ambientale, evitando l’uso di sostanze chimiche aggressive e riducendo le emissioni di CO2 rispetto a metodi tradizionali come scavo, smaltimento o incenerimento. Quella economica, puntando a tecnologie a basso consumo energetico e con costi logistici contenuti e quella sociale, favorendo la valorizzazione delle aree trattate attraverso agricoltura, edilizia o creazione di nuove aree verdi. 

Per quanto riguarda la scalabilità, la risposta non può essere altrettanto trasversale e sempre valida, ogni intervento va valutato caso per caso, un po’ come le ferite che ogni miniera può o meno lasciare su un certo territorio. “Entrano in gioco diversi fattori tra cui la matrice ambientale da trattare, la profondità della contaminazione e la sua tipologia” afferma Stella, spiegando che come anche il suo modello di business tiene conto di questa “scalabilità variabile”, tipica dei servizi altamente specializzati nel campo della microbiologia ambientale. Soprattutto se applicati nel settore del risanamento e della riqualificazione di siti contaminati, sono un campo molto complesso e in cui non si può agire per schemi precostituiti, ma che lascia spazio all’improvvisazione e anche alla crescita, perché poco esplorato e sempre più necessario. Per conquistare più spazio di altri, M3R punta “su investimenti continui in innovazione, alti standard di qualità e un team con competenze consolidate nel tempo”, rivolgendosi soprattutto a grandi gruppi industriali e compagnie petrolifere – proprietari dei siti contaminati – ma anche società di ingegneria ambientale, laboratori chimici e enti pubblici. 

“Negli anni, il nostro mercato di riferimento è rimasto sostanzialmente stabile, così come il profilo dei nostri clienti – spiega Stella – ma le nostre strategie di internazionalizzazione seguono diverse direttrici”. Dalla partecipazione attiva a fiere e congressi internazionali di settore, all’adesione a reti europee di rilievo, come NICOLE (Network for Industrial Contaminated Land in Europe), e ai programmi europei come PRIMA (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area), EUI (European Urban Initiative) e Interreg Euro-MED. Ma non ci si può fermare in Europa, c’è un mondo da bonificare e M3R lo ha già iniziato a fare, sempre in Cile ma con il corso “Contaminated Site Remediation with Genomics: Boosting Bioremediation in South America”, per promuovere l’applicazione di tecnologie sostenibili per le bonifiche ambientali. Per farsi conoscere, ma anche per condividere conoscenza e a sua volta conoscere. 

Questo articolo è stato prodotto nell’ambito delle Thematic Networks di PULSE un’iniziativa europea che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali, con il contributo di Ekaterina Venkina, Sanja Mladjenovic Stevic, Viktoriia Hubareva e Oana Filip.

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