Se la bolla green è implosa, quella IA si salva grazie ai venti di guerra

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Bolla Green

Dopo la pandemia, tanti erano stati i campanelli di allarme di un eventuale scoppio della bolla negli investimenti green.

A inizio anno con la rielezione di Trump la tendenza poteva essere facilmente intuita. Già nella prima elezione c’era stata la decisione simbolo della sua lotta contro la transizione ecologica, ovvero l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima e la quasi assenza di partecipazione alle COP delle Nazioni Unite durante la sua presidenza. Poi erano seguite le famose affermazioni pre-elettorali della seconda campagna, come, per esempio, “Vogliamo terminare la truffa del Green New Deal” (agosto 2024). Infine la ciliegina: il piano d’azione conservatore e sovranista, il Project 2025. Ne avevamo scritto qui.

E così nella prima metà del 2025, gli investimenti negli Stati Uniti in energie rinnovabili erano scesi drasticamente: meno 20,5 miliardi di dollari, un calo del 36 % rispetto al secondo semestre del 2024.

Dall’altra parte dell’oceano le cose non erano diverse. Le novità made in USA che di solito arrivano con un po’ di ritardo in Europa, quella volta stavano giungendo quasi in simultanea.

L’Europa, infatti, a gennaio con la bussola per la competitività l’UE puntava forte sull’intelligenza artificiale lanciando “un’ampia strategia sulla nuova tecnologia, che prevede anche le fabbriche dell’IA per permettere alle aziende di sviluppare dei modelli per i supercomputer”.

A febbraio 2025 c’era stato l’ennesimo campanello d’allarme: il caso delle auto ibride. Fino a quel momento le scelte della Commissione UE in materia di Green Deal non permettevano che tra 10 anni si potessero comprare automobili che non fossero elettriche. Ma la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen chiedeva il parere a Mario Draghi, che rispondeva con il suo Rapporto dando l’ok alla produzione di auto ibride dopo il 2035.

Il 4 marzo 2025 Ursula von der Leyen, con una lettera ai leader europei in vista del Consiglio europeo, presentava il ReArm Europe.

Il 22 aprile 2025 la Commissione  proponeva una regolazione per incentivare investimenti legati alla difesa permettendo agli Stati membri, su base volontaria, di trasferire risorse dai fondi di coesione (cohesion policy fund) verso programmi come il Fondo europeo per la difesa (EDF) e l’“Act in Support of Ammunition Production (ASAP)”, e prevedendo anche di rendere più flessibile l’uso dei fondi di coesione per infrastrutture “dual use” (cioè utili sia per finalità civili che militari), come per la mobilità militare. E nel contesto della revisione di medio termine della politica di coesione (2021-2027), era stata inserita la possibilità di allineare meglio gli investimenti dei fondi di coesione con le priorità strategiche emergenti, incluse difesa e sicurezza.

Dunque dirottamento dei fondi da Green, IA, a Difesa. Tuttavia l’intelligenza artificiale poteva ancora stare tranquilla grazie al concetto di dual use, un collante perfetto.

In seguito, a giugno 2025 l’Unione europea faceva il primo passo in quello che più avanti potrebbe rappresentare un vero e proprio dietro front al Green Deal: il pacchetto Omnibus.

Bolla AI

Dunque, per capire che ci si poteva trovare finalmente allo sgonfiamento della bolla IA, questa estate c’era stata la ricerca del Mit ad avvertire tutti: “il 95% dei progetti pilota di intelligenza artificiale generativa nelle aziende fallisce”.

Per andare oltre i singoli casi e le dichiarazioni di facciata il Financial Times ha pubblicato un articolo, che analizza in profondità le trascrizioni dei risultati finanziari e i documenti ufficiali inviati alla SEC dalle aziende incluse nell’indice S&P 500. A differenza delle conferenze stampa o dei comunicati pubblici, questi documenti sono obbligatori e devono includere l’elenco dettagliato dei rischi percepiti dalle imprese, informazioni che raramente raggiungono il grande pubblico. Dai dati raccolti emergerebbe un quadro interessante: sebbene l’adozione delle tecnologie IA sia in aumento e il tono con cui se ne parla rimanga in genere ottimistico, i benefici descritti appaiono spesso vaghi o poco specifici. Al contrario, le preoccupazioni, in particolare quelle legate alla cybersicurezza, vengono presentate con chiarezza e concretezza. In più, rispetto al 2022, si registra un calo nel numero di aziende che esprimono giudizi apertamente positivi su queste tecnologie.

BlackRock, la “pista” perfetta

In realtà basterebbe seguire i soldi. Prendendo come bussola BlackRock, la più grande società di investimento al mondo, la mappa è più evidente: a gennaio 2025 esce dal fondo Climate

A marzo, Nvidia e xAI (la società di Elon Musk) si uniscono alla partnership di infrastrutture AI già avviata a settembre 2024 da BlackRock, Microsoft, GIP, MGX, il Global AI Infrastructure Investment Partnership (GAIIP), con l’obiettivo iniziale di raccogliere 30 miliardi di dollari di private equity e un potenziale totale (con debito) fino a 100 miliardi di dollari. 

Infine, a maggio, BlackRock lancia l’ETF iShares Defense Industrials Active (IDEF), un fondo tematico attivamente gestito per dare esposizione a società attive nei settori difesa, aerospace, tecnologia avanzata e sicurezza globale.

Se dunque la bolla della IA non implode, non lo dovrà al suo utilizzo privato o aziendale, ma a quello bellico.

Sebbene il Financial Time dimostri che gli investimenti in IA non stanno producendo ricavi nelle aziende che la adottano, d’altra parte i budget nel 2025 in difesa e sicurezza legati all’ IA sono cresciuti e, almeno negli USA, a breve si tradurranno chiaramente in ordini/ricavi per aziende IA. In UE e NATO la spinta è forte, l’Europa invece sembra essere più lenta ma il motivo è che si passa da bandi che per trasformarsi in ordini veri per le aziende devono passare prima per gli Stati membri, come da sua legislazione.

La nuova richiesta di bilancio del Dipartimento della Difesa prevede grandi investimenti nell’intelligenza artificiale e nell’autonomia: droni sottomarini grandi e piccoli, sciami di droni volanti, gregari volanti sia per la Marina sia per l’Aeronautica e ricerca di base sull’intelligenza artificiale. E a luglio il Chief Digital and Artificial Intelligence Office (CDAO) del dipartimento della Difesa USA ha annunciato l’assegnazione di contratti ad aziende leader statunitensi nel settore dell’intelligenza artificiale di frontiera per accelerare l’adozione da parte del Dipartimento della Difesa (che ora, per decisione di Trump, si chiama Dipartimento della Guerra) di funzionalità di intelligenza artificiale avanzate per affrontare le sfide critiche per la sicurezza nazionale. Quindi ha assegnato accordi quadro (200 miliardi di dollari ciascuno) a OpenAI, Anthropic, Google, xAI per sviluppare capacità IA avanzate. Tale crescita di budget e contratti quindi si riveleranno dei ricavi effettivi per le aziende IA.

Anche l’UE, con il programma di lavoro EDF 2025 ha stanziato un miliardo di euro tramite bandi pubblici con priorità sulle intelligenze artificiali che riguardano la cybersecurity e l’autonomia difensiva. In questo caso basterà che gli Stati membri facciano propri i contratti operativi per vedere i futuri ricavi di queste aziende.

Da non dimenticare poi che un ulteriore miliardo di euro è stato stanziato dalla NATO tramite il suo fondo NIF in aziende deeptech per difesa e sicurezza. Anche se si tratta di equity e non di contratti operativi. 

Ecco allora che allo stato attuale sembra proprio che la domanda “bellica/sicurezza” faccia da paracadute, riducendo il rischio di implosione della bolla IA. (foto di Nahrizul Kadri su Unsplash)

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